Uno dei maggiori misteri dell’universo, la materia oscura, fu percepito casualmente nel 1933 osservando la chioma di Berenice, una costellazione fra la Vergine e il Leone: le galassie, là dentro, correvano tutte assieme e velocemente, facendo presupporre la presenza di una massa enorme, 400 volte superiore alla parte visibile. Quel mistero c’è ancora e si chiama materia oscura. Dai misteri della fisica a quelli della società il passo è breve: allo stesso modo, infatti, spesso dei fenomeni osservati se ne percepisce solo una piccola parte. Capita questo anche per il fenomeno della sicurezza stradale e della mobilità: così in questo articolo cerchiamo di indagare tale complessa materia non dalla parte visibile ma da quella invisibile, sulla quale poco o niente sappiamo perché non se ne è mai neppure cominciato a discutere.
Il tema della sicurezza della mobilità viene da noi declinato sotto il profilo degli interventi industriali sulle strade e sul trasporto, fruendo della nostra esperienza ed entrando solo marginalmente sui molti altri aspetti di questa complessa tematica, seguendo le connessioni con il nostro percorso.
La causa occulta delle anomalie della mobilità
Il conflitto di interessi. L’esigenza di terziarizzare la governance e i controlli del fenomeno
Di quanto in epigrafe di solito non si parla, onde occorre spiegare quel che in UE risulterebbe del tutto naturale. La mobilità, limitando il campo di analisi alle strade, rappresenta un campo di natura pubblica e, in quanto tale, va imputata alle Amministrazioni centrali e periferiche dello Stato quanto alla governance e ai controlli, mentre la gestione può essere affidata anche a privati a mezzo di strumenti concessori o di appalto. Quando, però, ciò non avviene e l’attività gestoria viene svolta in proprio dalle Amministrazioni ovvero anche a mezzo di società che vedono le stesse partecipare ai Consigli d’Amministrazione, allora tali Amministrazioni si trovano nella posizione contemporanea di Enti regolatori e Enti regolati, come avviene, per esempio, nel trasporto pubblico locale e nella viabilità locale. Gli esiti negativi di questa confusione di ruoli sono molteplici e ne facciamo un esempio per tutti: la mancata destinazione dei proventi contravvenzionali da circolazione stradale da parte di comuni che, per la più parte, preferiscono impiegarli in altri campi ritenuti dall’Ente più importanti e più profittevoli sotto il profilo elettorale. Su questa questione che, sia detto di passata, riguarda circa 2 miliardi di Euro su base annua, dal lontano 1992 non si è riusciti a fare affluire questi fondi alla sicurezza stradale né la rinnovata Legge 120/10 che modificava alcune imperfezioni del Codice della Strada al riguardo ha avuto migliore sorte.
ANCI ha negli anni accampato vari pretesti per giustificare tale inadempienza; l’ultimo di questi addirittura esilarante: l’Associazione ha ritenuto che le disposizioni in materia di impiego dei proventi contravvenzionali vengono continuamente mutate da parte del Legislatore, onde resta impossibile potervi ottemperare. Basta, tuttavia, dare un’occhiata alle modifiche per renderci conto da chi possono provenire le richieste di emendamento della Legge (provvidenze ai Vigili, mezzi tecnici a disposizioni degli Organi di Polizia, ecc.), cioè investimenti in capitoli di spesa che premiano l’organizzazione dell’Ente anziché le strutture di sicurezza. Analoghi e pesanti distorsioni sono osservabili anche nel trasporto pubblico locale e in tutti quei servizi che vedono l’Ente contemporaneamente sia come regolatore che come regolato nell’attività di riferimento. Come risolvere questo problema? Dobbiamo guardare all’Europa per trovare la soluzione e lo vedremo successivamente, scorrendo i provvedimenti legislativi che dovrebbero essere rivisti a questo e ad altri riguardi.
Leggi che occorrerebbe rivedere per dare alle strutture della mobilità pubblica la necessaria coerenza istituzionale
Purtroppo le Leggi che governano la mobilità risultano inadeguate all’imponenza del fenomeno della circolazione, sotto il profilo della governance dei controlli e dei finanziamenti.
La Legge 120/10, che – fra l’altro – destina il 50% dei proventi contravvenzionali alla sicurezza delle strade, continua a non funzionare in quando il D.M. attuativo della relativa disposizione non è stato ancora attuato. In sede ministeriale si parla di una ulteriore imperfezione della Norma che renderebbe il D.M. inattuabile, in quanto non è stato chiarito nel dettato a chi vanno attribuiti i proventi contravvenzionali: agli Enti proprietari delle strade sulle quali viene rilevata la infrazione ovvero agli Enti da cui dipendono i rilevatori, che spesso non coincidono? L’Associazione dei Comuni, l’ANCI, di ultimo ha dato un’altra versione: è impossibile adempiere perché il Legislatore cambia di continuo la destinazione dei proventi.
Sta di fatto che questi proventi non pervengono, se non in minima parte, a destino: il Vice Ministro Nencini, in occasione della ultima Giunta Finco, fortemente contrariato dalla girandola di tali pretesti, ha dichiarato che il Governo, nello sviluppo della delega al nuovo Codice della Strada, ha intenzione di cambiare decisamente questo dispositivo legislativo, adottando un testo inequivocabile. Vedremo. Sta di fatto, però, che allo stato attuale nessuno può godere di questi fondi, secondo un recente parere della Corte dei Conti regionale dell’Emila Romagna (n° 18 del 10/02/16) tale per cui, in assenza del Decreto attuativo della L. 120/10, congela tutto in attesa di definizione della materia. Non possiamo, tuttavia, in finale di questo punto astenerci dal fare una considerazione di fondo: è corretto far dipendere il finanziamento della messa in sicurezza delle strade non dai fabbisogni, bensì dai proventi contravvenzionali, fonte del tutto sganciata dalle effettive esigenze, ma legata a fatti indipendenti: indisciplina degli automobilisti, difficoltà di riscossione, ecc.? Insomma, ferma restando questa fonte finanziaria come sussidiaria, occorre andare alla ricerca di risorse certe e commisurate ai fabbisogni che consentano, fra l’altro, di attuare una manutenzione programmata della rete.
Realizzare un’esigenza
Per realizzare questa esigenza dovremmo attingere in maniera ragionata all’imponente gettito fiscale eveniente dal cespite “circolazione stradale” – circa 80 miliardi all’anno (imposta di possesso degli autoveicoli, imposta sulle assicurazioni sulle RC Auto, accise ecc.) – traendone una imposta per destinazione sulla mobilità che si ritagli una quota sui citati ricavi fiscali. Per la verità, le imposte per destinazione sono state cancellate dal nostro ordinamento a vantaggio della fiscalità generale, ma oggi dovremo percorrere un cammino inverso, quanto meno per quei settori, come quello della mobilità, che danno tanto al fisco senza riceverne un ritorno apprezzabile.
Non si può dire, infatti, che quei ritorni allo stato non ci siano, ma in via indiretta e senza destinazione precisa: è il caso della imposta sulle assicurazioni RC Auto (dal 12,5% al 16% dei premi RC Auto) affidata alle province per i vari servizi che sono loro affidati, fra cui anche la gestione delle strade provinciali (circa 120.000 km) o della imposta di possesso degli autoveicoli assegnata alle regioni per i propri servizi, fra i quali il TPL e la strada; il primo è stato trasferito di recente al fondo nazionale trasporti, mentre la rete regionale è stata per lo più affidata a Società miste regione/ANAS quando non retrocessa alle province.
Altri proventi da destinare alla strada
Ci sono altri proventi che potrebbero essere destinati alla strada: ci riferiamo ai canoni di servizi e servitù compresenti sopra o sotto la sede stradale che o non vengono regolarmente riscossi, o non adeguatamente rivalutati. Solo con tali ricavi si potrebbe pagare la manutenzione ordinaria delle tratte che ospitano cavi e tubi di servizio (gas, telefono, elettricità, ecc.). Insomma, questo segmento fiscale e contrattuale afferente la mobilità (strada/trasporto) dovrebbe essere messo sotto la lente per staccarne una percentuale per destinazione per coprire i fabbisogni di messa in sicurezza e manutenzione delle strade.
Su questo spicchio di imposte e canone attorno alle strade chiediamo una riflessione alla politica e alle Istituzioni per operare un adeguato e mirato “spin off” a favore della mobilità, uno dei settori trainanti della ripresa del Paese. Anticipare l’entrata in vigore del D.Lgs. 35/11 per la per le strade transnazionali a tutta la rete viaria Questa Norma, di recepimento europeo, si applica a tutta la rete già in molti Paesi della UE: dovremmo farlo anche noi, invece di attendere rispettivamente, per le strade nazionali il 2018 e, per quelle locali, il 2021. Questa disposizione impone due cose essenziali: la governance e il controllo a mezzo ispettori terziarizzati sul MIT. Torniamo al problema esposto all’inizio, quello del conflitto di interessi, che tale Decreto Legislativo elimina affidando regole e controlli della governance al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Ovviamente quest’operazione comporta un costo notevole, perché impone parametri di sicurezza che la nostra rete ordinaria non possiede: il sistema severo di ispezioni, controlli e sanzioni previsto, inoltre, non ne consente la elusione, così come allegramente è successo per i proventi contravvenzionali, anche se, purtroppo, dobbiamo registrare una non piena applicazione di tale Decreto Legislativo alle stesse strade transnazionali. Abbinando questa anticipazione del D.Lgs. 35/11 alla evidenza dello spicchio d’imposta per destinazione per la strada si potrebbero adeguare i fabbisogni ai finanziamenti, fruendo di Leggi esistenti e collaudate, orientandole coevamente alla messa in sicurezza e manutenzione programmata della strada. Se si potrà lavorare contemporaneamente sui punti sopra illustrati, non occorre inventarsi novità: basterà lavorare di bulino sulla Legislazione esistente.
La necessità di patrimonializzare la rete stradale
Non da ultimo, ma non certo in ordine di importanza, la necessità di patrimonializzare la rete stradale allo stato una sorta di “res nullis”, sulla quale, fra l’altro, resta difficile calcolare in percentuale l’incidenza delle spese di manutenzione, mancando il valore di riferimento. Questo patrimonio “virtuale”, se adeguatamente iscritto nei bilanci degli Enti Proprietari delle strade, da un calcolo approssimativo potrebbe complessivamente valere oltre 500 miliardi di Euro. In tutta Europa, e in particolare nei Paesi più sviluppati, le strade vengono contabilizzate a patrimonio nei bilanci degli Enti proprietari e non si vede perché ciò non avvenga anche in Italia. Per provvedere a ciò non occorre una nuova Legge: quella sui catasti stradali, ancorché non attuata, esiste già e, comunque, sono sufficienti le regole di buona amministrazione del demanio a render obbligatorio questo incombente. In conclusione fra strade sparite, conflitti di interessi mai evidenziati, colossali proventi fiscali non destinati, neppure in parte, all’imponente e centrale fenomeno della circolazione stradale che pur li genera, di materia oscura ne è emersa moltissima, senza neppure la necessità di scendere nelle viscere del Gran Sasso per dar la caccia alle particele Wimp.