“Violenza stradale”, quotidiana. Chiamiamo le cose con il loro nome: non è una “tragica fatalità”, non è un “destino crudele”, è “violenza stradale”. Pura e semplice: cruda e truculenta nel suo macchiare di sangue quotidianamente le nostre strade. Una verità che fa male, un dolore indicibile che cerchiamo in tutti i modi di allontanare da noi stessi: “è successo”, “può capitare”, “il caso ha voluto così”.
Violenza stradale quotidiana
E invece no: le circostanze possono forse rappresentare un’attenuante, ma le responsabilità non possono essere attribuite a oggetti inanimati come continuano a fare praticamente tutte le testate giornalistiche (salvo rare eccezioni) nell’affrontare il tema della violenza stradale quotidiana.
“Auto pirata” e luoghi comuni giornalistici
“L’auto pirata” che travolge e scappa non rappresenta soltanto un errore di comunicazione: è il modo in cui il giornalismo tratta l’argomento, spersonalizzandolo e riducendolo a un autoscontro, come se si trattasse del gioco delle macchinine di quando eravamo bambini. Ma sono le persone alla guida di quelle auto che, con la loro condotta (più o meno influenzata da cause esterne) producono la stragrande maggioranza delle collisioni stradali che a loro volta causano distruzione e morte, strappando alla vita persone che diventano birilli inanimati e che incrementano la macabra conta delle vittime.
Davide Rebellin (e tutti gli altri)
Ieri sera, nello stesso giorno dell’investimento mortale di Davide Rebellin, a Ferrara una persona alla guida di un automobile – senza neanche fermarsi a prestare soccorso – ha investito due giovani in bicicletta: un sedicenne è morto, l’amico che era con lui è ricoverato in gravi condizioni all’ospedale. Praticamente tutte le testate hanno riportato il fatto con la solita sciatteria nel lessico, dove “l’auto pirata” che colpisce e scappa diventa la protagonista dell’accaduto e la persona che era alla guida di quel mezzo scompare.
La nostra inadeguatezza nell’affrontare la violenza stradale quotidiana risiede nell’impossibilità di ammettere che gli autori di quelle morti sono persone come noi: i responsabili sono come noi e questa cosa non la possiamo accettare, per questo volgiamo lo sguardo altrove. E questa rimozione avviene in primis sui mass media che dovrebbero contribuire a dare elementi al dibattito e formare un’opinione pubblica informata sul tema e invece, salvo rarissime eccezioni, riportano queste notizie di violenza stradale quotidiana “un tanto al chilo”, sparando titoli acchiappaclick e rimandando a siti infarciti di pubblicità dell’automotive che magnificano le prestazioni dell’ultimo modello di SUV disponibile sul mercato.
Dov’è la sicurezza stradale?
Cinque anni fa l’investimento mortale di un simbolo del ciclismo come Michele Scarponi avviò una serie di iniziative importanti – tra cui la Fondazione che porta il suo nome e che promuove la sicurezza stradale dei ciclisti con il motto “La Strada è di Tutti a partire dal più fragile” – ma poi i media mainstream e l’opinione pubblica continuarono a trattare il tema della violenza stradale quotidiana come al solito, con l’incuria e la superficialità che ogni giorno noi sperimentiamo pedalando in mezzo al traffico.
Ieri l’uccisione di Davide Rebellin ha riaperto quel dibattito: ma è il sistema dell’informazione a essere inadeguato nel raccontare questo tema utilizzando la sensibilità necessaria e le parole giuste. Il giornalismo ha abdicato dal ruolo di dare alle persone gli elementi oggettivi per avere un’opinione informata su un tema di attualità: più facile e autoassolutorio gettare in pasto ai lettori titoli a effetto e luoghi comuni che circoscrivono in un altrove remoto il problema della violenza stradale quotidiana. Fino alla prossima “auto pirata” che “per cause ancora da accertare” travolgerà e lascerà sull’asfalto l’ennesima vittima immolata sull’altare della violenza stradale e dell’incuria inadeguata con cui continuiamo a raccontarla.
01/12/2022
fonte: BIKEITALIA