Auto UE: cercasi nuovo motore

I produttori europei arrancano a causa del calo della domanda, soprattutto per i veicoli elettrici, e delle tensioni commerciali tra Bruxelles e Pechino. Le ricette di Draghi potranno dare la scossa?

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Il settore automobilistico dell’Unione europea (UE), tradizionalmente motore industriale del continente e protagonista sia sul fronte tecnologico sia sul fronte dei consumi, si trova oggi a dover affrontare una fase di trasformazione strutturale critica. Diversi fattori convergenti stanno mettendo l’auto UE sotto pressione, con il rischio che questa delicata transizione possa trasformarsi in una vera e propria impasse.

La sfida più significativa è rappresentata dalla necessità di adeguarsi alle politiche green promosse dall’UE, che impongono obiettivi ambiziosi e richiedono sforzi superiori a quelli previsti per altri settori. Come evidenziato nel Rapporto The future of European competitiveness recentemente presentato da Mario Draghi, i grandi gruppi automobilistici europei stanno attraversando una trasformazione profonda orientata verso una mobilità sostenibile e veicoli sempre più definiti dal software (software-defined cars). Draghi sottolinea nel Rapporto che la spinta europea verso una rapida diffusione dei veicoli elettrici non è stata però accompagnata da un’adeguata conversione delle catene del valore globali.

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Il rallentamento del mercato

Guardando più nel dettaglio, il Global EV Outlook 2024 dell’Agenzia internazionale dell’energia (IEA) evidenzia un trend positivo delle vendite di auto elettriche (full electric a batteria BEV e ibride plug-in PHEV) nel primo trimestre del 2024, pari a quelle dell’intero 2023 in termini di volumi. In Europa, la quota di mercato di veicoli elettrici potrebbe attestarsi intorno al 25%. Cifra significativamente inferiore, ad esempio, a quella cinese prevista attorno al 45%. 

Questo divario riflette due problematiche fondamentali. Da un lato, vi è il rallentamento della domanda interna europea, imputabile alla riduzione degli incentivi per l’acquisto di veicoli elettrici e a infrastrutture ancora insufficienti. Come riportato dall’ACEA (Association des constructeurs européens d’automobiles), le immatricolazioni di veicoli elettrici a batteria (BEV) riferite al mese di agosto 2024 hanno registrato un calo del 43,9% rispetto all’agosto dell’anno precedente, con una quota totale di mercato in discesa dal 21% al 14,4%. Dall’altro lato, si è registrata una contrazione della domanda di veicoli elettrici europei in Cina, causata dalla crescente concorrenza dei produttori locali che riescono a soddisfare il mercato interno, riducendo lo spazio per altri produttori. Come riportato anche nel longread Il Futuro delle Automobili pubblicato da ISPI, per l’Occidente, e soprattutto per l’Unione europea, Pechino rappresenta allo stesso tempo una soluzione e un problema strategico. L’ampiezza del mercato domestico cinese e il sostegno di cui godono le imprese automobilistiche di Pechino mettono l’Europa in una posizione di svantaggio, sia in termini di controllo della catena del valore sia, a livello più ampio, in termini di competizione strategica.

I grandi gruppi automobilistici europei si trovano quindi a fronteggiare una domanda troppo debole per rendere la transizione energetica sostenibile dal punto di vista economico, e ciò aggiunge ulteriore pressione sul settore. Le sfide legate all’elettrificazione potrebbero avere ripercussioni sulla leadership globale dell’industria automobilistica europea. Infatti, in uno scenario internazionale in rapido mutamento e in fase di ripensamento delle catene del valore globali, l’Europa rischia di dover gestire ulteriori difficoltà competitive legate a costi più elevati. Inoltre, l’aumento del rischio di dipendenze di tecnologia e di materie prime (strategiche e non) mette a repentaglio la propria posizione di eccellenza industriale.

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Le cause (storiche) e le congiunture geopolitiche dell’industria

A partire dal XX secolo, le catene di approvvigionamento e distribuzione del comparto industriale si sono fuse in una rete di commercio globalizzato, che ha generato nel tempo crescenti opportunità per le imprese sia in termini di efficienza dei costi di produzione sia in termini di espansione dei mercati di sbocco. Queste catene del valore delle imprese manifatturiere si sono quindi organizzate in un sistema di commercio internazionale interconnesso che, superate alcune crisi momentanee, si è via via stabilizzato fino a tempi recenti. Oggi l’intero comparto industriale, e soprattutto quello automotive – che storicamente ricopre un ruolo trainante nelle economie occidentali –, si trova invece in un momento di congiuntura multipla che ne mette a rischio lo sviluppo futuro. Diversi fattori convergenti stanno portando a quella che sembra una tempesta perfetta per il settore della mobilità.

Innanzitutto, le conseguenze del cambiamento climatico sono emerse con forza nella sensibilità pubblica come una minaccia epocale e sono divenute una priorità nelle agende dei legislatori UE. Le aziende automobilistiche si trovano quindi a recepire le direttive politiche, facendosi carico di investimenti colossaliper sostenere il cambio di tecnologia verso l’elettrico. Questa spinta, se non supportata da un adeguato intervento strutturale pubblico potrebbe mettere a rischio le prospettive di sostenibilità economica e sociale delle imprese che operano nel mondo dell’auto. L’adozione di massa della tecnologia, che rappresenta la chiave di volta del successo delle politiche di elettrificazione della mobilità, è influenzata da diversi elementi. 

Per prima cosa, da un punto di vista sistemico, oltre a un sostegno politico ancora piuttosto volatile nei confronti dell’elettrico, a oggi sembra mancare in molti Paesi un’appropriata rete di distribuzione capillare di rifornimento dell’energia, che limita l’utilizzabilità delle auto elettriche su larga scala. Secondariamente, da un punto di vista tecnico, la diffusione di veicoli elettrici nel mercato di massa è rallentata a causa di una tecnologiatuttora in fase di maturazione (resa evidente da autonomie chilometriche non ancora comparabili rispetto ai tradizionali sistemi a combustione interna), che porta a prezzi al dettaglio fuori dalla disponibilità economica di una parte rilevante della popolazione.

Proprio riguardo al tema dei prezzi retail ancora sostenuti, appare interessante l’analisi di un altro fattore, ossia l’impatto di elementi geostrategici sull’ecosistema industriale. Gli anni ‘20 del XXI secolo, infatti, sono iniziati con una serie di eventi consecutivi in materia di energia, approvvigionamenti e sicurezza, che hanno dato il via, peraltro, a un flusso inflazionistico consistente.

Il primo è la crisi globale legata alla pandemia da COVID-19. Questo “cigno nero”, che ha sostanzialmente fermato in maniera inaspettata i commerci planetari – sebbene per un limitato periodo di tempo –, è stato seguito da una considerevole ripresa al termine dell’emergenza sanitaria. Dopo il fermo delle rotte commerciali del 2020 e i vari lockdown con associata sospensione di diversi processi produttivi, si è assistito a un repentino aumento della domanda di beni e di servizi di trasporto, concretizzata in un aumento dei noli per le rotte transoceaniche di quasi 10 volte (da 1.500€/container a 15.000€/container nel giro di pochi mesi), con conseguenze dirette sul costo del prodotto e sui bilanci delle realtà industriali. 

La seconda tipologia di evento riguarda l’acuirsi di crisi tattiche e strategiche. Le crisi tattiche si riferiscono a eventi localizzati e di breve termine, come il conflitto russo-ucraino – che ha posto fine all’era dell’energia a basso costo per l’Europa – e la situazione in Medio Oriente. Le crisi strategiche, invece, sono di natura sistemica e di lungo termine, come il crescente confronto strategico tra Stati Uniti e Cina e la transizione dagli idrocarburi alle energie rinnovabili. Queste tendenze strategiche porteranno a un ripensamento dei rapporti tra l’area euroatlantica e il blocco orientale, fino a possibili scenari di de-risking o addirittura decoupling.

Infine, non sono da trascurare gli eventi ciclici. Ad esempio, i risultati delle elezioni politiche sembrano avere esiti sempre più volatili, soprattutto nel Vecchio Continente con una ridefinizione dei rapporti anche in seno alle relazioni intra-unionali. Una conseguenza rilevante può essere vista nella crescente incertezza nella pianificazione industriale da parte del settore produttivo. Guardando alle prossime elezioni statunitensi, si possono immaginare gli effetti potenzialmente critici in caso di adozione di ulteriori barriere commerciali, sia in termini di dazi sia di controlli alle esportazioni. 

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Le sfide competitive e le misure di difesa commerciale 

La stessa Europa ha risposto alle sfide globali del settore automobilistico con alcune misure di difesa commerciale. Il 4 luglio scorso, la Commissione europea ha pubblicato i risultati dell’indagine anti-sussidi sulle importazioni di veicoli elettrici a batteria dalla Cina, adottando dei dazi compensativi provvisori compresi tra il 17,4% e il 37,6% (poi ritoccati ad agosto tra il 17% e il 36,3%), in base alla cooperazione delle aziende cinesi. È prevista nei prossimi giorni la decisione finale degli Stati membri sull’implementazione dei dazi in via definitiva. 

Lo scorso 4 ottobre Bruxelles ha comunicato di aver ottenuto l’approvazione degli Stati membri in merito all’adozione in via definitiva di tali dazi, che arriverebbero a toccare un massimo del 45,3%. La decisione ha visto nei giorni scorsi un’accesa contrapposizione in seno all’UE, ma segna un ulteriore passo verso la conclusione dell’indagine anti-sussidi. La Commissione sembra intenzionata a dare il via libera alle misure entro il 30 ottobre pur aspettandosi pesanti ritorsioni da parte di Pechino, già lanciate contro il brandy europeo (si legga cognac francese).

Tuttavia, le tensioni commerciali con Pechino continuano a generare preoccupazione per il settore automobilistico soprattutto a causa delle restrizioni cinesi alle esportazioni di materie prime critiche come gallio e germanio, essenziali per la produzione di chip destinati anche all’industria, e grafite, fondamentale per la produzione di batterie per le vetture elettriche. Per esempio, dall’introduzione dei controlli nell’estate 2024, le esportazioni di gallio dalla Cina sono diminuite di circa la metà, mentre il prezzo del germanio è aumentato del 52% dall’inizio di giugno 2024. A complicare ulteriormente il quadro internazionale, il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha annunciato il 23 settembre scorso il divieto di vendita o importazione di veicoli connessi che integrano specifici componenti hardware e software con un “nesso sufficiente” con la Cina o la Russia, aumentando l’incertezza sul futuro delle catene del valore globali.

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Prospettive future dell’automotive UE tra scenari globali e politiche industriali

L’industria automobilistica continua a rappresentare un settore centrale dell’economia europea con un rilevante peso politico dovuto al suo valore strategico e alla capacità occupazionale. Il settore impiega infatti, direttamente e indirettamente, circa 13 milioni di persone nel Vecchio Continente, pari al 6,1% dell’occupazione. Tuttavia, come evidenziato nel paragrafo dedicato all’automotive nel Rapporto Draghi, se l’UE non sarà in grado di adattarsi rapidamente alle nuove sfide competitive, il comparto automobilistico potrebbe perdere terreno in modo accelerato. Come riportato dal Rapporto, alcuni esperti industriali stimano che oltre il 10% della produzione locale potrebbe essere trasferito fuori dall’UE nei prossimi cinque anni. 

Per garantire che il settore automobilistico europeo rimanga leader mondiale, preservando produzione, ricerca e sviluppo e occupazione, il Rapporto Draghi suggerisce di perseguire due obiettivi chiave. Nel breve termine, l’UE dovrebbe tutelare le imprese e gli stabilimenti per prevenire la possibile delocalizzazione della produzione fuori dai confini europei. Guardando invece al medio termine, l’Europa dovrebbe ristabilire la posizione di leadership competitiva nella prossima generazione di veicoli, mantenendo la base produttiva europea e i propri vantaggi tecnologici, fintanto che si manterrà viva la domanda internazionale. Per raggiungere tali obiettivi, l’industria automobilistica UE dovrebbe fornire veicoli che siano convenienti per i consumi del mercato interno e competitivi per i mercati di esportazione.

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11/10/24

ISPI