I repentini cambiamenti degli ultimi anni stanno trasformando il settore dell’automotive: vediamo quali sono gli scenari attuali e quelli futuri ai quali si tenderà
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CAMBIAMENTI PROFONDI E GLOBALI – Sappiamo quanto gli ultimi anni siano stati difficili, fra pandemia da coronavirus, carenze di materiali critici e chip, blocchi della catena di approvvigionamento e impennate nei costi dell’energia, causati anche dall’invasione russa dell’Ucraina. Questi eventi hanno influito profondamente sul commercio e l’industria, compreso ovviamente l’automotive: l’autorevole ente certificatore TÜV Sud ha preparato uno studio che illustra i cambiamenti e le prospettive di questo settore così importante per l’economia e la vita delle persone.
RIPOSIZIONARSI AL MEGLIO – Una prima conseguenza di questi eventi è che i produttori di componenti di primo impianto (OEM), quelli aftermarket e fornitori di materiali si stanno impegnando a fondo per interpretare l’attuale, variegato panorama cercando anche di posizionarsi al meglio nei mercati emergenti. Queste tendenze sono più evidenti in Cina, nella UE e negli Stati Uniti ma si stanno manifestando anche in Paesi quali India, Giappone e Brasile. Nuove e importanti opportunità, sia per le nazioni che per le aziende automobilistiche che cercano di espandere la propria presenza a livello globale. Ma questi cambiamenti comportano delle sfide importanti perché un panorama così dinamico aumenta le complessità perché l’espansione in nuovi mercati comporta il soddisfacimento di requisiti aggiuntivi e il superamento di barriere linguistiche.
AUTOMOTIVE RESILIENTE – L’industria automobilistica mondiale ha dimostrato una notevole capacità di recupero: secondo i recenti dati di Statista, il fatturato mondiale delle attività di fabbricazione e produzione automobilistica è tornato ai livelli pre-pandemici: nel 2022 il fatturato globale si è attestato sui 2.950 miliardi di dollari, molto vicino ai 3.000 miliardi di dollari del 2019 e in aumento di quasi il 10% rispetto al minimo del 2020, l’anno pandemico che ha segnato 2.710 miliardi di dollari. Un recente studio di New Research Insights prevede per il mercato automobilistico globale un aumento con un tasso di crescita annuo composto (CAGR) del 7,57% nei prossimi cinque anni, il cui valore passerà da 2.598 miliardi a 4.025 miliardi di dollari entro il 2027. Per quanto riguarda i veicoli elettrici, un rapporto di Allied Market Research prevede che il mercato globale dei veicoli elettrici realizzerà una crescita di oltre il 18% nel decennio, arrivando a un valore totale di oltre 823 miliardi di dollari entro il 2030. Questa crescita, unita al cambiamento tecnologico, apre inoltre le porte alle startup e a nuovi operatori le cui innovative tecnologie possono trasformare ulteriormente l’industria, dando le basi per future resilienza e crescita.
DIFFICOLTÀ CHE LASCIANO IL SEGNO – Anche se l’automotive ha superato bene la crisi, il triennio post-pandemico ha lasciato delle conseguenze. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha stimato per il 2023 un tasso di inflazione globale del 6,6%, in calo rispetto all’8,8% del 2022 ma ben superiore al 4,7% del 2021. Questo aumento dei prezzi ha rallentato la crescita economica globale, scesa dal 6% del 2021 al 3,4% del 2022 fino al 2,9% stimato per il 2023. L’inflazione ha comportato rilevanti aumenti dei prezzi per fornitori, produttori e clienti finali e nell’industria automobilistica aumentano i prezzi delle materie prime, dei componenti e dei pezzi di ricambio critici e sono saliti anche i costi dell’energia e quelli della manodopera. Questi aumenti si traducono in rincari dei prezzi dei veicoli, raddoppiati in 20 anni in termini di stipendi necessari per comprare un’automobile (qui la notizia). Si tratta di un ulteriore aggravio per i consumatori già alle prese con crisi economica e aumenti dei costi di cibo, energia e di tante altre voci di spesa.
QUALITÀ E CARENZA DI CHIP E MANODOPERA – Tra queste sfide, la più critica per l’automotive è stata la carenza di semiconduttori, chip e altri componenti elettronici, componenti ormai imprescindibili per il funzionamento delle moderne automobili semiautonome e connesse. Queste criticità hanno avuto come conseguenza un calo della qualità dei veicoli. Lo studio IQS (Initial Quality Study) 2022 di J.D. Power evidenzia un aumento dell’11% dei problemi di qualità segnalati per ogni 100 veicoli nuovi, un record nei 36 anni di questa ricerca. In molti casi questo è da imputare alle disfunzioni della catena di fornitura dovute alla carenza di chip e in effetti i problemi di qualità più ricorrenti nel Power Study hanno riguardato l’infotainment dei veicoli premium, ben più complesso rispetto a quello dei veicoli di massa. Gli utilizzatori (lo studio riguarda anche veicoli in leasing) di veicoli a batteria e ibridi plug-in hanno citato un maggior numero di problemi di qualità rispetto a quelli che usano automobili ad alimentazione tradizionale: probabilmente la loro elettronica ancor più sviluppata ha risentito di più delle difficoltà nelle forniture. Le complicazioni riguardano anche il reperimento di personale qualificato e in grado di padroneggiare le promettenti tecnologie avanzate che stanno guidando la crescita dell’automotive. Esse richiedono un nuovo livello di conoscenze tecniche ed esperienza a chi è coinvolto nella produzione e nell’assistenza automobilistica. Il lancio dei veicoli a batteria e poi la loro assistenza richiede competenze specialistiche che possono essere superiori a quelle attualmente in possesso dalla maggioranza degli addetti. La penuria di personale competete è in effetti comune nei settori incentrati su tecnologie nuove e in rapida evoluzione e a domanda di professionisti in queste aree tecniche avanzate potrebbe superare, anche nell’automotive, il numero di candidati disponibili.
LA SFIDA DEI REGOLAMENTI GOVERNATIVI – Fra queste sfide post-pandemia si inseriscono anche i governi e le agenzie di regolamentazione che in tutto il mondo spingono per regolamentare sempre più il settore automobilistico. Le norme sui veicoli automatizzati e autonomi fa notizia ma è la spinta a ridurre le emissioni di gas serra che sta avendo – e avrà – il maggiore impatto sull’automotive. Nella UE, ad esempio, la scadenza per la l’azzeramento al 100% delle emissioni locali è fissata al 2035, salvo aggiustamenti nel 2026 (qui per saperne di più), anche se i motori a combustione alimentati con E-Fuel potranno essere venduti dopo questa data. Il governo degli Stati Uniti ha adottato un obiettivo analogo per tutti i veicoli di proprietà dello Stato mentre la Cina ha l’obiettivo che gli EV rappresentino il 40% delle immatricolazioni entro il 2030. Queste regole sono le premesse perché i produttori spostino la loro attività di ricerca e sviluppo e di produzione verso i veicoli elettrici o a fuel cell. La dipendenza dalle batterie aumenterà ed è probabile che si arrivi a regolamenti e requisiti per il riutilizzo o lo smaltimento delle batterie al termine della loro vita.
LA CINA COME POLO PRODUTTIVO – Le aziende automobilistiche globali guardano sempre più alla Cina sia per sviluppo/produzione di veicoli elettrici e ad alta efficienza energetica sia per materiali e componenti critici correlati. Le aziende europee vedono uno spostamento in Cina anche come un modo per ridurre i costi energetici, aumentati anche per la guerra in Ucraina. La Cina offre ai costruttori anche una catena di approvvigionamento stabile e completa, cosa che le consente di produrre il 76% del totale globale di batterie per veicoli contro il 7% della UE. Il Paese del Dragone è diventato più attrattivo anche perché non è più necessario avere un socio cinese al 50% per investire: la BMW ha per esempio annunciato che produrrà una nuova X5 in partnership con Brilliance China Automotive Holdings (BBA). La Ford ha annunciato un’azienda con sede in Cina che si concentrerà sui veicoli elettrici e tecnologie di assistenza alla guida: l’azienda venderà direttamente ai consumatori e aprirà più di 100 punti vendita nel Paese. In parallelo si assiste a un veloce aumento delle esportazioni di auto cinesi a buon prezzo in Europa, cosa che destato sospetti di dumping (qui per saperne di più). In effetti (vedi grafico) la più grande esportatrice di auto elettriche fatte in Cina è Tesla, seguita da marchi europei di proprietà cinese (Geely, per esempio, ha i brand Volvo, Link& Co e Polestar) mentre non sono ancora molto presenti i marchi puramente cinesi: la situazione potrebbe cambiare – sta già cambiando – date le basse barriere commerciali della UE e i sussidi erogati anche per l’acquisto di veicoli elettrici importati.
USA CONTRO EUROPA? – La ricetta statunitense alla transizione prevede invece regolamenti e leggi che incoraggiano lo sviluppo della produzione interna del Paese, riducendo la dipendenza dai beni prodotti oltre confine, rafforzando l’industria aumentando inoltre le opportunità di lavoro dei cittadini. Tutto questo nasce dall’Inflation Reduction Act (IRA) dell’agosto 2022: esso prevede, fra le altre cose, che gli acquirenti di EV fabbricati negli Stati Uniti, che incorporano batterie e altri componenti lavorati, riciclati o assemblati negli USA, abbiano diritto a ricevere fino a 7.500 dollari di crediti d’imposta, eventualmente trasferibili al venditore come sconto. Questa normativa probabilmente aumenterà significativamente la richiesta di veicoli elettrici prodotti negli USA da parte degli automobilisti americani e quindi indurrà le Case statunitensi ad aumentare la produzione di EV qualificati per ottenere il beneficio. Rivian, per esempio, ha avviato i lavori per un nuovo impianto in Georgia: l’impianto, che dovrebbe iniziare ha produrre entro il 2024, ha la capacità di 400.000 veicoli l’anno e darà lavoro a 7.500 persone. Anche Fisker starebbe esplorando la possibilità di produrre EV negli States dall’anno prossimo ma le azioni dell’IRA potrebbero attrarre anche investimenti europei, con il Vecchio Continente preso fra i due fuochi della Cina e degli Usa.
La UE appare meno agguerrita e orientata a sostenere più l’innovazione che la produzione: la costruzione di una fabbrica di batterie negli States avrebbe sussidi fino a 800 milioni di dollari contro i 155 milioni erogati dall’Unione Europea mentre per l’idrogeno le sovvenzioni americane sono ora 5 volte quelle europee. Sappiamo di colloqui EU – USA perché i minerali europei possano godere dei sussidi dell’IRA (qui la notizia). Il 20 ottobre il presidente Biden incontrerà il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen: in agenda la cooperazione tra Stati Uniti e Unione Europea nel sostegno all’Ucraina ma anche questioni legate all’energia e all’approvvigionamento di materie prime critiche necessarie alla transizione verde e digitale. Washington e Bruxelles lavorano ormai da mesi per finalizzare un accordo sui minerali critici, da chiudere entro la fine dell’anno, per raggiungere un accordo di libero scambio dei materiali essenziali per le tecnologie della doppia transizione. Non è difficile leggere fra le righe la volontà sia di contenere lo strapotere cinese nel settore (che la UE non ha saputo “leggere” negli anni nei quali si concretizzava) sia di distendere le tensioni create dall’Inflation Reduction Act.
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2/10/23
alVolante.it (N.Angi)
https://www.alvolante.it/news/come-cambia-il-mondo-dell-auto-388685