Acquistare un’automobile o un motociclo significa, per ogni cittadino italiano come d’Europa, incappare inevitabilmente in una serie di spese e tasse obbligatorie da tenere assolutamente in conto. Basti pensare che nel 2017 lo Stato Italiano (su tutti i livelli, dal governo centrale fino ad arrivare ai comuni) ha incassato dal settore automotive la bellezza di 74,4 miliardi di euro, una cifra pari al 4,3% del PIL.
Dopo aver parlato, anche da un punto di vista storico, del bollo auto e delle accise su benzina, gasolio e GPL, proviamo a raccogliere in un solo articolo tutte le tasse a quattro e due ruote, facendo un confronto diretto con i nostri vicini di casa europei. Per comodità, possiamo dividere la tassazione in tre grandi gruppi: tasse di acquisto, tasse di possesso e tasse di utilizzo.
Per tasse di acquisto intendiamo ovviamente tutte quelle spese da affrontare subito, appena si compra un nuovo veicolo. All’interno di ogni preventivo troviamo la classica IVA, in Italia pari al 22%, l’IPT, tassa da corrispondere alla Provincia che immatricola il mezzo, e i diritti della Motorizzazione.
Se calcolare l’IVA è abbastanza semplice, per l’IPT (Imposta Provinciale di Trascrizione) bisogna guardare alla potenza dell’auto e seguire una tabella ben precisa: fino a 53 kW si paga 151 euro, per ogni kW successivo vanno invece aggiunti 3,51 euro. Bisogna poi fare i conti con la maggiorazione provinciale, che può raggiungere anche il 30% del totale, a seconda del territorio in cui ci si trova.
Si incappa poi nell’immatricolazione alla Motorizzazione Civile, dove fra Emolumenti ACI, imposte di bollo per iscrizioni al PRA e il rilascio della carta di circolazione, diritti DT e il costo delle targhe (variabile per tipologia del veicolo) si spendono diverse centinaia di euro.
Dopo lo scoglio dell’acquisto, arriva il possesso: arriviamo dunque al bollo auto e all’eventuale Superbollo. Il bollo è una tassa riscossa a livello regionale in modo autonomo, difficile dunque fare un calcolo che sia valido per tutti, il Superbollo invece – dopo la cura del Governo Monti – ci costa 20 euro per ogni kW di potenza al di sopra dei 185 kW.
Una volta messo il veicolo in strada, arrivano poi le tasse di utilizzo, ovvero ulteriore IVA sui carburanti e le accise, imposte sulla fabbricazione e vendita di prodotti di consumo che in Italia sono le seconde più alte d’Europa. Nel corso del 2019 verrà poi immessa l’ormai famosa ecotassa, da calcolare in base alle emissioni di CO2 con scaglioni a partire da 161 g/km in su. Tolte le spese fisse e obbligatorie, bisogna poi aggiungere spese accessorie come pedaggi autostradali, contravvenzioni, revisioni da effettuare per legge.
Come se la cavano invece i nostri vicini europei? Dal punto di vista delle tasse di acquisto, l’Italia non è tra le nazioni più care, si trova al decimo posto di una classifica a 28 Paesi. Va peggio agli ungheresi, con IVA al 27%, a Danimarca, Svezia e Croazia al 25%, Grecia e Finlandia al 24%. Peggio di noi anche Portogallo, Irlanda e Polonia con IVA al 23%. Basta invece oltrepassare il confine francese per trovare l’IVA al 20%, va ancor meglio in Germania con tassazione pari al 19%.
L’Unione Europea ha portato sicuramente molti standard e semplificato diverse operazioni internazionali, abbiamo persino una moneta unica con la quale possiamo spostarci di Paese in Paese senza cambiare denaro, dal punto di vista delle tasse automobilistiche però regna il caos più totale, con regole che variano da nazione a nazione. La nostra IPT non esiste in Europa, ogni Paese ha però una sorta di tassa di registrazione calcolata in modo sempre differente.
In Francia vi è una regola simile alla nostra nuova ecotassa, da corrispondere a partire dai 120 g/km in su (fino a 10.500 euro per auto con emissioni pari o superiori a 185 g/km), più o meno lo stesso avviene nei Paesi Bassi, in Austria, Belgio, Cipro, Finlandia, Spagna e Irlanda. In Germania e nel Regno Unito la registrazione di un nuovo veicolo è calcolata in base al prezzo di acquisto, in Portogallo e in Polonia bisogna invece badare alla capacità dei cilindri.
Per quanto riguarda il possesso, vale a dire il nostro bollo, la situazione è ancora più frammentata. Non si paga nulla in Polonia;in Portogallo, Germania, Slovenia e Romania invece si paga in base alla capacità dei cilindri. In terra tedesca ad esempio si pagano 2 euro per ogni 100 cc di capacità di cilindro più ulteriori 2 euro per ogni grammo di CO2 oltre i 95 g/km. In Spagna ci sono diverse tasse regionali oltre a una tassa di possesso da calcolare sui cavalli fisici (HP).
Provando a tirare un po’ di somme, se il settore auto italiano corrisponde circa 75 miliardi di euro all’Erario, in Germania l’apporto è di 90 miliardi (dati 2016-2017), mentre ci si avvicina di più la Francia: 73 miliardi. Entrambi i Paesi hanno però un gettito totale molto più ampio del nostro: nel primo le tasse totali corrisposte dai cittadini sono 1.600 miliardi, oltralpe 1.300 miliardi, mentre in Italia ci fermiamo a 850. Significa che lo Stato Italiano succhia dagli automobilisti circa il 9% della tassazione totale, sia in Germania che in Francia chi usa le quattro e le due ruote impatta per il 5,6%.
Il dato più sconvolgente riguarda le nostre accise, torniamo dunque sempre “al punto di partenza”: se il settore auto genera quasi 75 miliardi di tasse in totale ogni anno, circa la metà arriva proprio dalle accise sui carburanti, che nel 2018 – in combo con l’IVA – hanno generato 35,752 miliardi. Qualora un qualsiasi governo volesse diminuire la pressione sugli automobilisti italiani, saprebbe certamente da dove iniziare. Inoltre il tempo di affidarsi sempre e comunque ai carburanti tradizionali sta – di fatto – per finire: con lo switch elettrico di massa all’orizzonte, le entrate saranno sempre meno. La prospettiva più banale è aspettarsi un cospicuo rincaro della corrente elettrica, a pensar male però si fa (forse) peccato.
Vinicio Paselli