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Le driverless car, o auto senza conducente, stanno catalizzando l’attenzione degli stakeholder ma, soprattutto, del pubblico. In realtà dietro all’auto senza conducente c’è ancora tanto fumo e molta approssimazione nell’affermare che sia una tecnologia matura. Quanto manca ancora per vedere una vera auto senza conducente sulle strade pubbliche? Non poco. A gettare acqua sul fuoco dell’entusiasmo è stato lo stesso amministratore delegato del Toyota Research Institute, Gill Pratt, il quale, nel corso di un’intervento tenuto all’interno dell’ultima edizione del CES 2017, ha affermato che un’auto completamente autonoma, ossia senza conducente e senza nemmeno il volante, non è ancora pronta per debuttare sulle strade pubbliche. Secondo Pratt ci vorranno almeno cinque o sei anni, nulla di così imminente quindi.
Del resto è stata la stessa bramosia dei carmaker attuali ad alimentare false attese perché, ribadiamolo, prima che l’auto a guida completamente autonoma venga metabolizzata dai regolamenti vigenti in tema di sicurezza stradale ci vorranno tanti anni, per non parlare poi del cambio di paradigma necessario per le compagnie assicurative.
Eppure se ne parla quasi quotidianamente; gli attuali automakers devono solleticare la fantasia degli azionisti ed il pubblico ha sete di una “vera” novità. In realtà però un’evoluzione c’è già stata se si pensa ai grandi progressi che ci sono stati nel campo della tecnologia di assistenza alla guida. Ma, ribadiamo, prima di vedere una driverless car su strada manca ancora molto, specie se si pensa ad un livello 5 di automazione -ci riferiamo allo standard sviluppato dalla Society of Automotive Engineers (SAE)-. Anche la stessa Tesla ha calcato la mano del sensazionalismo con l’ultima versione dell’autopilot in grado, secondo Musk, di ottemperare al livello 5 di automazione.
Senza troppi giri di parole stiamo comunque parlando di una feature che rappresenterà nei prossimi anni un elemento molto importante all’interno del mercato dell’automobile. E lo sanno bene Google e Uber che negli ultimi mesi si sono rincorse propri nell’auto a guida autonoma. Google ha creato Waymo, società controllata preposta allo sviluppo dell’auto a guida autonoma, oltre che nel cercare di generare un profitto.
Proprio Waymo ha citato in giudizio presso la Corte Federale della California Uber accusandola di aver rubato i suoi progetti relativi ai sistemi Lidar, acronimo di light detection and ranging. Ad aver commesso il misfatto sarebbe stato un ex dipendente di Google, Anthony Levandowski, approdato per l’appunto a Uber. BigG ha scoperto il furto intellettuale perché è stata erroneamente inclusa in una lista di email da uno dei suoi fornitori; nello specifico, tra le mail era presente Uber che aveva allegato gli schemi di un progetto di un Lidar praticamente identico a quello di Google.
Secondo Google il buon Levandowski prima di lasciare Google e fondare la start-up Otto ha provveduto a scaricare tutti i file relativi alla progettazione del Lidar. Successivamente Otto è stata acquistata da Uber proprio per il suo know-how nell’auto a guida autonoma.
Il sistema Lidar è un vero e proprio fiore all’occhiello per Google, al salone di Detroit Waymo ha infatti annunciato di essere riuscita a sviluppare la tecnologia in casa riducendo i costi di oltre il 90%. Non stiamo parlando di certo di una novità poiché il trafugamento dei segreti industriali è prassi ormai consolidata, la stessa Tesla aveva citata in giudizio Sterling Anderson, in precedenza a capo della divisione dell’auto a guida autonoma dell’azienda americana, e l’ex Google Chris Urmson proprio per aver rubato informazioni con lo scopo di creare una nuova società indipendente preposta alla sviluppo dell’auto a guida autonoma.
autore: Emiliano Ragoni – it.ibtimes.com – 24/02/2017