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Primato Marea. Parlando, invece, di autopattuglie “normali”, per quanto bistrattata e ritenuta insicura, spetta alla Fiat Marea il primato di essere stata la prima vera auto allestita in modo specifico per compiti di polizia. Arrivata nel 1996, le innovazioni introdotte dalla media torinese diventeranno la base per le future generazioni di volanti: divisorio tra posti anteriori e posteriori, equipaggio di due agenti, leggera blindatura, meccanica ottimizzata, massima integrazione con le nuove tecnologie e facilità di gestione. È stata, inoltre, la prima volante a poter essere momentaneamente abbandonata dall’equipaggio, per ragioni operative, con le armi lunghe e le varie dotazioni custodite in sicurezza.
Arriva la 156. Mutuando gli stessi concetti della Marea, i carabinieri arruolano qualche anno dopo l’Alfa Romeo 156, che si distingue per la presenza, sul tetto, di un pannello digitale a messaggio variabile. Anche sulla berlina del Biscione è presente il divisorio, ma qui il divano posteriore è del tutto simile a quello di serie, molto più comodo della rigida panca della Marea, tanto che qualche criminale inizia a dire che, potendo scegliere, preferirebbe fare il viaggio in manette proprio sulla 156. Generosa nelle prestazioni e affidabile di meccanica, ha sofferto solo nelle aree urbane di Roma e Milano dove la diffusa presenza di pavé ha messo a dura prova le sofisticate sospensioni.
Poliziotta d’oriente. La Toyota Carina 2.0 SW, entrata in servizio nel maggio del 1995, è la prima vettura giapponese a mettere la divisa italiana grazie alla deregulation sancita dall’allora ministro degli Interni Roberto Maroni. Ai due esemplari della stradale ne seguiranno altri due, con carrozzeria berlina, con l’uniforme dei carabinieri. In entrambi i casi non seguirà mai una vera e propria fornitura che, invece, successivamente sarà appannaggio della Subaru.
Testa d’ariete. Sempre parlando di giapponesi, menzione speciale per le Mitsubishi Pajero corazzate in servizio presso le tenenze della Guardia di Finanza in Puglia e Campania. Erano nate per contrastare le fuoristrada blindate dei contrabbandieri di sigarette che, per sfuggire agli inseguimenti con il prezioso carico di “bionde”, usavano speronare le fragili vetture di servizio delle fiamme gialle. A causa del notevole peso aggiuntivo, tuttavia, queste Pajero necessitavano di intervalli di manutenzione più corti.
Le origini della pantera. Le auto delle forze dell’ordine sono anche caratterizzate da una certa simbologia. L’emblema della pantera, per esempio, compare sulle vetture della Squadra Mobile subito dopo l’arrivo dell’Alfa Romeo 1900 nel 1952. Secondo la tesi più accreditata, il felino viene scelto perché adatto a rappresentare le caratteristiche della nuova vettura della polizia allestita dalla carrozzeria Colli: nera, veloce, scattante e a suo agio anche durante gli inseguimenti notturni. Meno ammantato di leggenda, invece, il simbolo del Reparto Prevenzione Crimine. Quello che molti definiscono “uccellaccio” e che si vede spesso su macchine confuse per normali volanti (con la pantera) è in realtà un’aquila che ghermisce una saetta con l’Italia sullo sfondo. Entrambi gli emblemi sono stati recentemente ristilizzati.
Agile gazzella. Diversamente dalla polizia, l’emblema del Nucleo Operativo Radiomobile dei carabinieri, la gazzella, non è mai cambiato sin dalla sua introduzione con la nuova livrea blu-bianco dell’Alfa Romeo Giulia nel 1972. Caratteristica dello scudetto è il fatto che la gazzella guarda sempre in avanti sia sul lato destro sia quello sinistro così come la fiamma dei carabinieri, che è sempre controvento. Nella foto potete vedere un esempio di ciò: lo stemma, del lato destro, vede la gazzella protesa in avanti, verso il muso della vettura, mentre la fiamma è al contrario. Difficile dire con certezza perché fu scelto l’agile animale negli anni 70. E appare priva di fondamento la tesi che lo vedrebbe mutuato dal cosiddetto “zodiaco dei carabinieri” reso noto dal calendario dell’Arma del 1998.
Chi rompe, paga. Forse non tutti sanno che le pantere e le gazzelle sono sotto la diretta responsabilità degli autisti. I quali, se commettono infrazioni o provocano danni, anche durante lo svolgimento del servizio, pagano di tasca propria. Proprio così: il Codice della strada dice che pur correndo a sirene spiegate, bisogna comunque adottare una certa prudenza e, talvolta, non basta l’incombente necessità di salvare una vita a preservare lo stipendio dell’agente. Tutti i danni arrecati all’autopattuglia, infatti, vengono detratti dalla (magra) busta paga degli operatori delle forze dell’ordine.
Cosimo Murianni