(linkiesta.it)
Come cambierà tutto: le nuove tecnologie di sicurezza dovranno essere introdotte su tutti i veicoli prodotti in Europa, per diventare il nuovo standard e, si spera, ridurre gli incidenti
Sistemi per la frenatura autonoma, rilevatori di pedoni, assistenti alla velocità intelligenti: tutte tecnologie che dovranno essere obbligatorie su tutti i veicoli prodotti nell’Unione Europea. Lo sostiene – e lo richiede – la risoluzione per la sicurezza stradale proposta dall’eurodeputato tedesco Dieter-Lebrecht Koch (Ppe), a capo della commissione europea per i trasporti. Votata a maggioranza, si prepara a imporre nuovi standard di sicurezza per tutte le vetture circolanti. Quelli che erano (e sono ancora) optional costosi a disposizione di pochi, dovranno diventare il new normal della circolazione. Non lo impone (meglio: propone) solo Bruxelles, ma anche il numero – ancora troppo alto – di vittime di incidenti stradali.
Nel solo 2016, secondo le stime dell’European Safety Transport Council (Estc), ci sono state 25.671 morti per incidenti mortali in tutta Europa. Una media di 70 al giorno (come se, ogni due giorni, precipitasse un aereo). Nel corso degli anni, va detto, la situazione generale è migliorata ma, rispetto all’obiettivo fissato nel 2010 di dimezzare i numeri, il calo in sette anni è stato solo del 18,7%. Adottare tutte le tecnologie più avanzate per mettere in sicurezza i veicoli diventa, di conseguenza, prioritario.
Il problema, come sottolinea a Linkiesta lo stesso Koch, è capire se «la Commissione europea, che aveva deciso di rifare le regole per il 2020, resterà fedele ai suoi obiettivi». Cosa difficile da prevedere, al momento. In ogni caso la proposta ricadrebbe «sui produttori e non sui consumatori». In altre parole, nessun proprietario ai veicoli sarà tenuto per legge a impiantare i nuovi dispositivi. Chi le macchine le fa, invece, dovrà inserirli per legge. In questo modo il parco auto sarà, pezzo per pezzo, sostituito.
Le tecnologie che si chiede di inserire, come spiega a Linkiesta Antonio Avenoso, direttore del Estc,«sono sistemi che permettono di correggere alcuni comportamenti sbagliati, prevenire gli errori ed evitare gli incidenti». Esistono già, «dobbiamo solo permettere a tutti, non solo ai più benestanti, di usarli». Un invito che suona come un ordine. Ma dietro non ci sono né fondi né aiuti. «Niente incentivi a nessuno: si tratta di una dotazioni già esistenti e che dovranno essere applicate su tutti i veicoli». I costi ricadranno, come gli obblighi, «sulle case automobilistiche». Anche se «c’è il rischio – ammette – che, in qualche modo, vadano a incidere sul prezzo finale. Ma sarebbe una variazione molto modesta. Le innovazioni, se fatte in larga scala, costano molto di meno. Lo si è visto con l’introduzione dell’Abs».
I problemi, semmai, sono altrove. «Quando si parla di guida autonoma, di auto-che-si-guidano-da-soli, le case automobilistiche sono entusiaste: è tutto un fiorire di “ci siamo” o “ci arriveremo presto”». Perché per loro è una gara, e soprattutto un mercato promettente. Quando invece si cita «l’adattamento automatico della velocità si sollevano obiezioni di ogni tipo: la difficoltà tecnica, l’opportunità, la privacy e altro ancora». La verità è che «la velocità vende di più». E loro nicchiano, aspettano, non vogliono perdere clienti.
In questo caso «il sistema non sarebbe invasivo. È quasi come un passeggero molto accorto che aiuta il guidatore in difficoltà: gli dà consigli ma non lo sostituisce». Però «può interferire, ma l’ultima decisione è sempre del guidatore, che può scavalcarle. Non è l’auto che si guida da sola, ma è un primo passo».
Sulla questione, però, da tempo si è aperto un dibattito dai contorni filosofici (ma che è, in ultima analisi, politico). È giusto, per esempio, lasciare scegliere alle automobili (e cioè agli algoritmi elaborati dalle case automobilistiche) se mettere a repentaglio la vita dei passeggeri rispetto a quella dei pedoni? O viceversa? Alcune case automobilistiche hanno già annunciato che, in questi casi, proteggeranno sempre chi è dentro il veicolo. Una scelta, questa, che appare dettata da ragioni commerciali. «Ma non è così che dovrebbe andare. Queste decisioni, delicate e fondamentali, dovrebbero spettare non ai produttori. Ma al legislatore». Sperando che sia il più possibile imparziale.
Le auto – continua – si muovono in contesti diversi. Alcuni chiusi, più sicuri e con meno incidenti, come le autostrade. E altri più aperti, come le vie urbane e interurbane. È qui che «ci sono più imprevisti: a causa dei pedoni, ad esempio, che hanno comportamenti improvvisi e spesso rischiosi» (basti pensare che, di fronte alle follie dei passanti curiosi, negli Usa hanno dovuto mascherare la Google Car). Le tecnologie sono pensate proprio per questi casi. Ci sono più rischi di impatto e, di conseguenza, anche più necessità di miglioramenti tecnologici.
Ma la proposta europea, va detto, è più ampia. Insieme alle innovazioni tecnologiche, «prevede anche un miglioramento complessivo dello stato delle infrastrutture e un metodo per rendere più dure le leggi sulla guida». È, più che un piano, un appello, un richiamo, una esortazioni. Queste sono tutte competenze (a parte le strade transeuropee) che appartengono ai singoli Stati. Non si fissano né limiti né criteri, ma ci si mantiene nel solco del buonsenso. «Più che altro la nostra è una moral suasion». Per quella materiale, cioè monetaria, c’è ancora da aspettare.
Dario Ronzoni – linkiesta.it – 17/11/2017