(ecoblog.it)
Cercando di spingersi oltre il problema infrastrutturale, che fa dell’Italia il fanalino di coda europeo per quanto riguarda la mobilità elettrica su gomma, è interessante evidenziare come il motivo principale per il quale in media si rinuncia all’acquisto di una vettura elettrica non sia legato all’autonomia inferiore a un modello alimentato a benzina o a gasolio e nemmeno alla non capillare presenza delle colonnine di ricarica: il problema è la durata di ogni ricarica.
Oggi per una ricarica completa occorre una media di 7 ore – parliamo di batterie agli ioni di litio ricaricate con la normale corrente a 220v – ma sul mercato odierno sono disponibili anche batterie in grado di ricaricarsi alle colonnine ad alto voltaggio, che impiegano tempi decisamente inferiori, anche della metà. Ma resta il fatto che pensare di fare un viaggio medio-lungo con la propria auto elettrica in un tempo accettebile è oggi ancora un sogno, realizzabile solo se si sceglie di non badare ai tempi di percorrenza.
Negli Stati Uniti, il mercato di riferimento per quanto riguarda l’elettrico, ad oggi tra i più sviluppati al mondo in questo settore, l’amministrazione Obama ha stanziato 4,5 miliardi di dollari per la creazione entro il 2020 di un network di ricarica rapida, incluso uno studio di fattibilità per la realizzazione di colonnine da 350 kW. Attualmente infatti il leader del mercato delle colonnine di ricarica è Tesla con il suo Supercharger, che operano a un massimo di 120 kW, equivalenti a un’autonomia di circa 270 km in 30 minuti. In Europa, invece, ci stiamo attrezzando: ne abbiamo anche parlato testando la nuova Renault ZOE, circa la messa a punto di colonnine di ricarica ultrarapide, e parlandovi anche del “cartello” messo in piedi da diverse compagnie automotive per investire in tal senso. Due novità importanti, che certamente ammoderneranno il mercato europeo (e si spera italiano) dell’elettrico.
Delle ricerche inglesi sui supercondensatori, accumulatori di energia utilizzati al posto delle batterie, vi avevamo già parlato qui ma oggi a queste si aggiungono i lavori di un altro gruppo di ricerca, questo in Florida: entrambi hanno sviluppato un polimero, con cui vengono realizzati questi speciali accumulatori, che testato sta dando riscontri notevoli ai ricercatori e che una volta commercializzato potrebbe rivoluzionare il mercato elettrico. Il lavoro dei ricercatori dell’Università centrale della Florida punta a sviluppare una nuova tecnologia, materiali bidimensionali d’avvolgimento composti da milioni di microscopici filamenti che incrementerebbero la densità d’energia, attenuando il decadimento dell’autonomia delle vetture.
Tale tecnologia porterebbe da 1.500 a oltre 30mila i cicli di ricarica utili per le batterie, una questione che potrebbe piacere meno alle case automobilistiche che sul noleggio delle batterie ci vogliono costruire il business del futuro elettrico. A differenza della ricerca inglese, che svilupperà il primo motore nel 2017, la ricerca americana è ancora distante dalla produzione in serie, almeno per quanto riguarda il mondo automotive, mentre entro cinque anni potrebbe divenire lo standard per smartphone e device portatili.
autore: ecoblog.it – 19/12/2016