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Si è spento, all’età di 90 anni, Fidel Castro. Dall’ingresso a L’Avana al culmine della Revolución, avvenuto l’8 gennaio 1959, sono passati quasi 58 anni: allora Castro sfilò tra la folla a bordo di una Jeep. Si chiudeva, così, un’epoca in cui Cuba, sotto la dittatura di Fulgencio Batista, era una sorta di licenzioso “parco di divertimenti” ai piedi dell’America, fatto di belle donne, gioco d’azzardo, hotel di lusso e alcol a fiumi: e dove le automobili, possibilmente grandi, sfarzose e americane, giocavano un ruolo di primo piano, sfilando lente sul lungomare della capitale. Anche le corse giocavano un ruolo di primo piano: a Cuba, come nelle vicine Bahamas, si disputavano negli anni 50 molte gare che, con ricchi premi, attiravano i migliori piloti dell’epoca. E non fu per caso che, pochi mesi prima della rivoluzione, i “barbudos”, come si chiamavano i guerriglieri di Fidel, misero in atto un non cruento rapimento proprio di un pilota, nientemeno che il campione dei campioni, Juan Manuel Fangio. Una vicenda che Quattroruote ha raccontato, coi suoi retroscena, nel giugno 2011.
Le auto di Castro. Tutto, nel giro di poco, dopo la rivoluzione sarebbe cambiato. Basta feste, casinò e belle auto, nel nome della rigorosa morale marxista. Lo stesso Fidel, del resto, non ha mai amato i mezzi lussuosi e moderni: come raccontano le immagini della nostra gallery, ha sempre preferito i veicoli spartani e le fuoristrada, memore com’era dei mesi passati coi suoi commando sulla Sierra, a studiare come porre fine alla dittatura di Batista. Quando aveva necessità di auto più eleganti per le occasioni ufficiali, il Líder Máximo optava per berline discrete, come le americane Oldsmobile, lasciando alle limousine sovietiche Zil, care alla nomenklatura di Mosca, il compito di accompagnare i leader politici stranieri e i dignitari in visita a L’Avana.
Un museo chiamato Cuba. La storia di Cuba e della rivoluzione di Fidel Castro, del resto, ha trasformato l’isola caraibica in un museo dell’auto a cielo aperto. Complice l’embargo decretato dalla comunità internazionale dai primi anni 60, i cubani hanno dovuto arrangiarsi con quello che rimaneva dell’epoca pre-rivoluzionaria: vecchi rottami di auto americane degli anni 40 e 50, rimaneggiati infinite volte, maledetti per i loro problemi, difficili da risolvere in mancanza di ricambi, e oggi invece benedetti, perché trasformati in una preziosa risorsa per il turismo. Chevy, Dodge, Cadillac e così via vivono ora una splendente seconda o terza vita per le strade della capitale, accompagnate dai retaggi dell’epoca in cui le uniche importazioni, anche di quattro ruote, arrivavano dall’Urss e dai suoi Paesi satelliti, ovvero Zaz, Moskvich, Lada, Trabant e qualche altro modello meno conosciuto. Solo di recente, infatti, il processo di lenta liberalizzazione del mercato avviato da Raúl Castro, succeduto a Fidel nella gestione del Paese, ha consentito una maggiore diffusione di auto nuove, soprattutto cinesi e coreane, che marciano fianco a fianco con le splendide testimonianza della Cuba che fu.
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