In California i robotaxi idi Waymo e Cruise possono circolare per la città. Un passo avanti mentre emergono nuove incognite sulla capacità di questi mezzi di adattarsi ai contesti urbani
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A prima vista, il mondo delle auto autonome sta compiendo importanti passi avanti. Lo scorso 10 agosto, la commissione della California che, tra le altre cose, si occupa di rilasciare i permessi ai mezzi di trasporto pubblico ha approvato, con qualche vincolo, la libera circolazione nella città di San Francisco dei robotaxi di Waymo e Cruise (due delle principali realtà del settore). Vale a dire che i clienti possono ora salire su un taxi a guida autonoma a bordo del quale non c’è nemmeno un supervisore (cosa che finora era possibile fare solo in alcune zone di Phoenix e Austin).
L’eterna promessa delle auto autonome sta finalmente iniziando a trasformarsi in realtà, anche se con qualche anno di ritardo? Abbiamo davvero intrapreso quel percorso che ci porterà, a questo punto in tempi non così lunghi, a venire scorrazzati da vetture che sfruttano algoritmi di intelligenza artificiale per interpretare i segnali stradali, i semafori e il comportamento delle altre auto?
Le cose non sono così semplici e il confronto tra il mondo reale e i robotaxi ha impiegato poco a dimostrarlo. Nei giorni immediatamente successivi all’approvazione, una vettura di Cruise si è schiantata contro un camion dei pompieri e un’altra è rimasta bloccata a un incrocio per circa venti minuti, causando un grave ingorgo.
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Strada sbarrata
Non è niente di nuovo. Anche escludendo gli episodi più tragici, dal giugno 2022 a oggi sono stati documentati quasi 600 episodi in cui le auto autonome sono andate in tilt agli incroci, hanno rallentato o accelerato improvvisamente, non hanno riconosciuto le corsie o i segnali stradali, hanno ostacolato ambulanze e vigili del fuoco e altro ancora. A volte a causa di una segnaletica deteriorata e non più riconosciuta dal sistema visivo. In altre occasioni a causa di situazioni inedite che la vettura non sapeva come affrontare (è il caso dell’auto autonoma rimasta bloccata nel cemento fresco) e in altre ancora per ragioni mai chiarite.
E così, a pochi giorni dal discusso via libera, la commissione californiana ha fatto una parziale marcia indietro, obbligando Cruise a dimezzare la flotta che circola per San Francisco. Una parziale vittoria anche per le persone che avevano manifestato contro il via libera ai robotaxi: una contrarietà legata non solo al rischio di incidenti, ma anche alla potenziale perdita di lavoro e al peggioramento del servizio (i robotaxi, per esempio, non possono aiutarci coi bagagli, non possono aiutare i passeggeri invalidi o non vedenti a salire a bordo e non possono intervenire in caso di lite tra i passeggeri).
Pro-robotaxi
C’è però anche l’altro lato della medaglia. La porzione di società civile che – durante il dibattito che ha preceduto la decisione della commissione – si è espressa a favore dei robotaxi ha infatti sottolineato come questi non mettano a rischio la sicurezza dei passeggeri, guidando anche se eccessivamente stanchi o in stato di ebbrezza, non possono molestare i clienti e altro ancora.
Da che parte pende la bilancia? Sotto questi aspetti, le opinioni sono molto soggettive ed è ancora presto per capire quanto alcuni timori o alcune speranze siano fondati. Per farsi un’idea più precisa – come sottolineano spesso proprio le società del settore – potrebbe non esserci altra strada che iniziare a dispiegare flotte di taxi autonomi nelle strade. “I software di guida autonoma necessitano di esperienza nel mondo reale per migliorare: maggiore è la quantità di dati che i veicoli riescono a raccogliere – sulle condizioni ambientali, i pericoli stradali, le situazioni di emergenza e così via – più si avvicineranno a una forma ideale di guida”, si legge per esempio sul New Yorker.
In poche parole, attendere che questi veicoli autonomi raggiungano un determinato livello di guida prima di consentire il loro impiego su strada potrebbe paradossalmente impedire a questi veicoli di raggiungere il livello auspicato. Siamo disposti a correre qualche rischio oggi in vista di una possibile maggiore sicurezza domani?
Le incognite
Secondo alcuni esperti, ragionare in questo modo significa però dare per scontato qualcosa che scontato non è, ovvero che le auto autonome, grazie all’esperienza maturata sul campo, saranno in grado di superare tutti gli ostacoli. “Le auto autonome sono (ancora) afflitte dallo stesso problema che è stato enfatizzato dozzine di volte negli ultimi anni, vale a dire i casi limite, le circostanze al di fuori dell’ordinario che spesso confondono gli algoritmi di machine learning – ha scritto lo scienziato informatico Gary Marcus -. Più è complicato il dominio, più numerose tendono a essere le anomalie. Il mondo reale è complesso e incasinato: non c’è modo di elencare tutte le cose fuori dall’ordinario che possono accadere. Nessuno ha ancora capito come costruire un’auto autonoma che possa gestire questa cosa”.
Nel traffico cittadino, le incognite sono semplicemente troppe perché l’intelligenza artificiale possa ricondurle a un modello prevedibile. Una persona che sbuca all’improvviso dietro a un tram deciderà di lasciare passare l’auto che sopraggiunge o proverà ad attraversare? E il motorino che sembra sul punto di tagliarci la strada cambierà all’ultimo secondo idea o lo farà davvero? Come devo comportarmi con un’auto in doppia fila mentre un’altra ne sopraggiunge dalla corsia opposta?ARTICOLI PIÙ LETTI
C’è poi tutto l’aspetto legato a quelle che vengono chiamate “micro-manovre”: abilità che gli esseri umani affinano con il passare degli anni. Per esempio, quando vediamo davanti a noi una macchina che procede troppo lentamente, possiamo immaginare che stia cercando parcheggio e quindi lasciarle lo spazio necessario per fare marcia indietro e posteggiare. Se invece vediamo qualcuno che sbuca a un incrocio da sinistra, possiamo decidere di spostarci lievemente a destra nel caso in cui non si fermi esattamente dove sarebbe previsto (e dove quindi si aspetterebbe un algoritmo).
Abilità umane
Noi esseri umani possiamo affrontare questi ostacoli facendo affidamento su esperienza e buon senso, e ciononostante sbagliamo in una gran quantità di casi (con esiti a volte tragici). Le serie statistiche, che rappresentano l’unica esperienza di cui sono dotati gli algoritmi di deep learning, si dimostrano invece all’altezza solo in ambienti rigidamente controllati (come può essere il caso di un aeroporto) o in cui si verifica un numero molto inferiore di incognite (come potrebbe essere il caso delle autostrade), ma non sono sufficienti per gestire il caos che caratterizza la maggior parte delle strade urbane. “La casualità dei comportamenti non può essere gestita dalla tecnologia di oggi”, aveva affermato tempo fa Markus Rothoff, responsabile di Volvo per la guida autonoma. Una situazione che non sembra essere cambiata.
Come sa chiunque abbia esperienza di guida, quando si è al volante le eccezioni sono la norma. Uno scenario estremamente complicato che noi navighiamo, come detto, grazie all’esperienza e alla capacità di anticipare i comportamenti degli altri guidatori. “Noi esseri umani siamo molto bravi in questo, ma le auto autonome hanno molta difficoltà a comprendere le intenzioni degli altri guidatori”, ha spiegato Barry Brown, scienziato specializzato in auto autonome dell’università di Stoccolma.
Il problema, per come l’ha spiegato Brown, è che le strade sono, di fatto, dei luoghi sociali, dove le persone alla guida – tramite il loro comportamento – comunicano agli altri come interagire con esse e con l’ambiente circostante. Le auto autonome, invece, non sono minimamente in grado di fare tutto ciò e sono molto più vicine – spiega sempre Brown – “a dei bambini non ancora sufficientemente socializzati”.
Trasformare le città
Per assurdo, sarebbe forse più facile introdurre in modo sicuro le auto autonome se fosse concesso soltanto a loro di circolare per le strade. In questo modo si eliminerebbe il rischio di incomprensioni con i guidatori umani, i pedoni, i ciclisti. Questo scenario non è però solo molto difficile da realizzare, ma richiederebbe anche una totale trasformazione delle città.
Secondo Andrew Ng, uno dei pionieri del deep learning, per trasformare le auto autonome in realtà “saranno necessari dei cambiamenti infrastrutturali che rendano le città più prevedibili e facilmente riconoscibili”. Seguendo questi suggerimenti, però, si rischia di progettare città in cui gli ambienti per le auto autonome sono completamente separati da quelli in cui si muovono le persone, le biciclette o i motorini. E così, ha segnalato l’esperto del settore Christian Wolmar, “gli spazi aperti che le città vogliono incoraggiare potrebbero sparire lasciando il posto a barricate. E la circolazione dei pedoni verrà controllata con un autoritarismo degno di Singapore”.
Fortunatamente, per il momento non ci sono segnali che indichino la volontà di andare in questa direzione. Al contrario, è possibile che – mano a mano che si diffonde la consapevolezza di quanto sia difficile operare auto completamente autonome negli scenari urbani – potremmo capire che il futuro non è a forma di robotaxi, ma semmai di assistenti alla guida sempre più sofisticati e a cui potremo magari lasciare il controllo – con la nostra supervisione – in alcuni ambienti non particolarmente complessi (un’autostrada poco trafficata e in buone condizioni meteo o una città dalle ampie corsie, strade perpendicolari e poco traffico). Forse non saranno le promesse auto autonome di livello 5 (in cui l’essere umano non ha nemmeno più un volante a disposizione), ma tutto sommato non è nemmeno così poco.
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6/9/23
WIRED
https://www.wired.it/article/auto-guida-autonoma-robotaxi-waymo-cruise-san-francisco/