Anche un team di Formula 1 si deve proteggere da eventuali intrusioni hacker non autorizzate per carpire dati utili a copiare soluzioni o a sabotare addirittura la performance sportiva.
Le specificità della Formula 1
“Una squadra di Formula 1 presenta delle criticità non totalmente coincidenti a quelle di altre aziende”, spiega a Wired Gianluca Vadruccio, direttore tecnologico della cybersecurity di Axitea, azienda milanese che cura la sicurezza della Alfa Romeo Sauber F1. “Il più ovvio è quello del furto, da parte di un insider o di una persona esterna, di dati che riguardano la vettura: può essere il design di una soluzione o di un singolo pezzo, può riguardare il motore, aspetti aerodinamici o elettronici, che in pista possono fare la differenza”, aggiunge Vadruccio.
La trasmissione dei dati durante la gara
Si compie in due step, “dalla vettura ai box e da questi al quartier generale. Se qualcuno si inserisce nei sensori dell’auto, o nel collegamento wi-fi o nei pc che si trovano ai box, a questi ultimi possono non arrivare informazioni, oppure apparire dati che sembrano legittimi ma in realtà sono manipolati, e influiscono così sulla gara”, continua Vadruccio. “Nel trasferimento dai box alla sede poi i dati acquisiscono ancora maggior valore, perché vanno a essere accorpati a quelli storici, utilissimi a fini statistici e di studio”.
Auto o laboratori digitali?
Le vetture di Formula 1 sono diventate dei laboratori digitali e per rendersene conto basta contare quanti sensori vengono montati. Una Sauber da gara include 100 sensori disseminati per capire il funzionamento di tutte le sue parti, e una utilizzata per i test può arrivare anche a 200. Tutto questo ha come fonte o materiale di lavorazione dati che, data la quantità degli investimenti in gioco (una Sauber F1 quest’anno costa circa 20 milioni di euro), può incentivare l’attività criminale di qualche hacker.
Come proteggere l’auto
Per evitare che qualche hacker possa intromettersi, Vadruccio e i suoi collaboratori tengono la situazione sotto controllo da una centrale operativa che vede il lavoro di uomini e software insieme. “Qualsiasi dispositivo, dall’auto di Formula 1 al pc dei meccanici allo smartphone del pilota genera degli eventi di ciò che sta succedendo. Noi siamo in grado di analizzare per un certo periodo questi eventi, verificando che siano veri e non alterati da un software, e abbiamo tecnologia e persone che riescono a capire se in quelli che accadono successivamente c’è un’anomalia che vale la pena di investigare perché potrebbe essere il sintomo di un tentativo di hacking”, conclude l’esperto della cybersicurezza.
Vinicio Paselli